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Spesso ormai sentiamo parlare di osteopatia e di posturologia, siamo sicuri di sapere di cosa si parli?
Il dubbio nasce proprio dalla tipologia di approccio al corpo umano, non sempre lo capiamo e ne siamo consci quando si parla di queste due filosofie teorico-pratiche.
In questo articolo non voglio enunciare tutti i principi dell’ una e dell’ altra disciplina, ma bensì voglio descrivere il perché osteopatia e posturologia vedano il corpo come un tutt’uno, un’ unità indissolubile.
Come vedere una struttura che consideriamo fatta di organi, strutture anatomiche studiate singolarmente, “pezzi di noi” sempre più complessi e che complessamente interagiscono tra di loro?
La visione osteopatico-posturologica vede il corpo semplicemente come una struttura unica senza separarla, legato da quel meraviglioso tessuto che si chiama connettivo e che invece di separare le strutture le tiene tutte insieme.
Il tessuto connettivo è quello che vedete in cucina nella vostra bistecca, un tessuto non elastico e fibroso che anche l’ anatomia tradizionale vede come SEPARATORE di setti e strutture anatomiche.
In osteopatia e posturologia questo tessuto (costituito da una delle quattro tipologie di cellule fondamentali del corpo: nervose, epiteliali, muscolari e connettivali) non è visto nella funzione di separazione strutturale ma bensì nella funzione di legame tra tutte le strutture che compongono il nostro corpo.
In questa visione nei movimenti e nelle sue funzioni quotidiane il nostro tutt’uno non potrà scindere da un movimento globale della struttura soggetta a forze esterne ed interne. Il sistema mio-fasciale, che ingloba integralmente tutto il corpo, influenza i movimenti e la stabilità tramite forze quali la compressione, la trazione, la flessibilità e la torsione. Parliamo quindi di una struttura meccanica costituita da elementi discreti e distinti sottoposti a forze di compressione e da elementi continui sottoposti a sforzi di tensione. Possiamo considerare il corpo come una struttura TENSEGRICA?
Lo sviluppo della teoria della tensegrità si è avuto inizialmente nell’architettura, in seguito nell’arte e poi nella biologia e nella fisiologia, quando si sono prodotte o si sono interpretate strutture che si autosostengono per effetto di uno stato di tensione presente nel sistema (da cui il nome di tensegrity, dalla fusione di tension e integrity).
Ingberg nel 1998 determinò che dal citoscheletro cellulare fino ad un livello macroscopico con le 206 ossa che compongono il corpo umano ci troviamo in strutture di tensegrità, atte appunto a resistere a forze di tensionamento trazione compressione e decompressione.
E’ facile notare quanto nel macrosistema corpo ci troviamo a sottostare a queste leggi, vedendo che lo scheletro osseo può essere semplificato come un insieme di barre che resistono alle forze di compressione essendo però disposte su degli assi di resistenza ed equilibrio dalla trazione dei muscoli , dei tendini e dei legamenti ovvero da tutte le strutture flessibili del corpo che non rappresentano altro che i cavi di tensionamento strutturale del sistema. (Myers-2002)
Il vantaggio del corpo in questo nuovo tipo di visione anatomico-funzionale è il risparmio energetico per il mantenimento della propria omeostasi.
In conclusione la visione filosofico-pratica di osteopatia e posturologia proprio perché vede la struttura corpo come un tutt’uno e quindi non indaga il sintomo ma ne ricerca la causa può essere utile come percorso di rieducazione di schemi motori e strutture che risultano in disfunzione.